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Scultura del Desiderio Cap. 2


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
21.05.2025    |    112    |    0 8.7
"“Non muoverti, ” disse, e il primo colpo arrivò, leggero, sulla curva del suo fianco, un pizzicore che le fece mordere il labbro..."
Il crepuscolo avvolgeva la villa Valenti, tingendo i vigneti di sfumature viola e oro. Livia Moretti camminava lungo il corridoio in cotto, i tacchi dei suoi stivaletti neri che risuonavano come un metronomo, il taccuino dei bozzetti stretto al petto. L’incontro nella stalla con Edoardo Valenti, due giorni prima, le bruciava ancora nella memoria: il tocco delle sue mani, la creta sulla pelle, il modo in cui si era abbandonata contro la mangiatoia, cedendo al piacere. Quel momento l’aveva scossa, risvegliando desideri che aveva represso dopo una relazione che l’aveva lasciata ferita e diffidente. Non posso lasciarmi andare di nuovo, si disse, ma il pensiero di Edoardo – la sua voce, il suo sguardo, la sua presenza matura – la faceva tremare di anticipazione. Oggi avrebbe presentato il progetto per la cantina antica, e l’idea di scendere in quello spazio oscuro, intriso di profumo di vino e legno, le accendeva un brivido che non poteva ignorare.
Indossava un abito verde scuro, aderente, con una scollatura profonda che sottolineava la curva del décolleté, il tessuto che scivolava sui fianchi come una seconda pelle. Era un’armatura, un modo per sentirsi potente, ma anche un’esca, perché una parte di lei voleva che Edoardo la guardasse, la desiderasse. È solo lavoro, si ripeté, ma il calore tra le sue cosce tradiva la bugia.
Edoardo la aspettava all’ingresso della cantina, una scala in pietra che scendeva sotto la villa. Indossava una camicia nera, le maniche arrotolate che rivelavano avambracci scolpiti, e pantaloni che aderivano alle sue gambe con una precisione che sembrava studiata. Il suo sorriso era lento, quasi predatorio, e i suoi occhi grigi la scrutarono, soffermandosi sulla scollatura prima di risalire al suo viso. “Livia,” disse, la voce un basso ronzio che le sfiorò la pelle. “Pronta a mostrarmi il tuo mondo?”
“Se sei pronto a entrarci,” rispose lei, un sorriso che nascondeva il tumulto interiore. Sta giocando con me, pensò, ma il modo in cui lui si avvicinò, sfiorandole il braccio mentre la invitava a scendere, le fece accelerare il battito.
La cantina era un labirinto di volte in pietra, l’aria fresca e densa di profumo di rovere e vino. Le botti allineate lungo le pareti proiettavano ombre morbide sotto la luce di lampade temporanee. Livia posò il taccuino su una botte, aprendo i bozzetti. “Propongo di restaurare le volte, mantenendo la pietra a vista,” disse, la voce ferma nonostante il calore del corpo di Edoardo accanto a lei. “Luci soffuse incassate, un tavolo in legno massiccio per degustazioni private, pavimenti in cotto restaurato. Uno spazio per eventi esclusivi, ma con un’anima… intima.” La parola le uscì carica, e il sorriso di Edoardo si fece più scuro.
Si chinò sul bozzetto, il suo braccio che sfiorava il suo, il profumo di sandalo che la avvolgeva. “Intimo,” ripeté, la voce un sussurro che le fece tremare le ginocchia. “Sai rendere ogni spazio un invito, Livia.” Il suo sguardo scivolò sulla scollatura, poi tornò ai suoi occhi, un lampo di desiderio che non cercava di nascondere. Lei si mosse, i tacchi che echeggiavano nella cantina, e sentì il peso del suo passato – quella relazione che l’aveva fatta sentire prigioniera – scontrarsi con il desiderio di lasciarsi andare.

“Dovremmo provare lo spazio,” disse Edoardo, prendendola per il polso con una delicatezza che nascondeva forza. La guidò verso una nicchia tra le botti, dove la luce era più tenue, l’aria più densa. Livia trattenne il respiro, il cuore che martellava. Non dovrei, pensò, ma quando Edoardo le si fermò davanti, il suo corpo a pochi centimetri, ogni resistenza si sgretolò. “Lasciati guidare,” mormorò lui, e la sua voce era un comando che la fece cedere.
“Distenditi sulla botte,” ordinò, la voce un comando basso che la fece tremare. “A pancia sotto.” Livia esitò, il cuore che martellava, ma obbedì, il corpo che si piegava sulla botte, il legno freddo che le fece rabbrividire la pelle attraverso il vestito. Il profumo di vino la avvolse, mescolandosi al calore di Edoardo dietro di lei. La sua mano si alzò, scendendo sul suo didietro con un colpo leggero, come un massaggio, che le strappò un respiro. Poi un altro, più intenso, e un terzo, quasi forte, che le fece sfuggire un piccolo urlo, un misto di sorpresa e piacere. Edoardo cambiò mano, ripetendo il gesto dall’altro lato, ogni colpo più deciso, e Livia si sentì confusa, il dolore che si intrecciava al piacere, un’ondata che la rendeva sempre più eccitata, il corpo che rispondeva con un calore umido che non poteva negare.
Edoardo la fece girare, il suo sguardo grigio che la inchiodava. “Guardami,” ordinò, e Livia non poté distogliere gli occhi, il desiderio tra loro che bruciava. Le aprì le gambe con un movimento lento, tirando su la gonna del vestito, il tessuto che scivolava sulla sua pelle, fece scivolar via il suo perizoma. Quando la penetrò, lento e deliberato, Livia sentì nuovamente un’onda di piacere invaderla, insieme a quell’odore di botti e di vino che riempivano le sue narici. “Non smettere di guardarmi,” ordinò ancora, la voce un ringhio basso, e lei obbedì, gli occhi fissi nei suoi mentre il ritmo di lui, controllato e dominante, la spingeva oltre i confini di sé stessa. I suoi glutei rossi e doloranti che colpivano sul legno sotto di lei. La cantina si dissolse, ridotta al loro respiro, al suono dei loro corpi, al freddo della botte contro la sua schiena. Le mani di Edoardo, una sul suo fianco, l’altra che le sfiorava il viso, erano ganci saldi, e Livia si perse in lui, in quella sottomissione che non era debolezza ma liberazione. Ogni spinta era un’affermazione del suo potere, e lei si abbandonò, il corpo che rispondeva con gemiti soffocati, il piacere che la consumava fino a un picco che la fece tremare, un urlo trattenuto che sfuggì mentre si arrendeva completamente.
Quando si separarono, Livia respirava a fatica, il corpo vibrante. Edoardo la guardò, il respiro pesante, un misto di trionfo e vulnerabilità nei suoi occhi. “Questo spazio,” disse, la voce roca, “sarà indimenticabile.” Livia non rispose, il cuore in tumulto, ma mentre tornavano verso la scala, si interrogava sul piacere provato dopo il dolore.
L’aria della cantina sembrava ancora aggrapparsi alla pelle di Livia mentre risaliva la scala in pietra, i tacchi dei suoi stivaletti neri che echeggiavano incerti sul cotto. Il cuore le martellava nel petto, il corpo vibrante di un piacere che la confondeva. L’incontro tra le botti – il comando di Edoardo, il dolore che si intrecciava al piacere, la sua voce che la guidava – l’aveva lasciata in un turbine di emozioni. Cosa sto diventando? si chiese, il ricordo della sua relazione passata, che l’aveva spezzata, che si scontrava con il desiderio bruciante che Edoardo risvegliava in lei. Lui camminava accanto a lei, la sua presenza una forza magnetica, il profumo di sandalo e vino che la avvolgeva. Non parlava, ma il suo silenzio era carico, come se stesse aspettando che fosse lei a spezzarlo.
Tornarono nel salone principale della villa, dove la luce del crepuscolo filtrava dalle finestre ad arco, accendendo le pareti in pietra di sfumature dorate. Livia si fermò accanto al tavolo di noce, il taccuino dei bozzetti ancora aperto sul progetto della cantina. Le sue mani tremavano leggermente mentre sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, il vestito verde scuro che aderiva al suo corpo come un promemoria della vulnerabilità che aveva appena esposto. Edoardo si appoggiò al tavolo, i suoi occhi grigi che la scrutavano con un’intensità che le fece quasi dimenticare come respirare.
“Livia,” disse, la voce bassa, un misto di comando e promessa. “Quello che è successo là sotto… non è abbastanza.” Si avvicinò, fermandosi a un passo da lei, il calore del suo corpo che la attirava come una marea. “Voglio di più. Voglio te. Ma alle mie condizioni.”

Livia trattenne il respiro, il cuore che inciampava. Alle sue condizioni? Il pensiero la spaventava e la eccitava allo stesso tempo. “Cosa intendi?” chiese, la voce un sussurro, mentre il suo passato le gridava di fermarsi, ma il desiderio la spingeva avanti.
Edoardo sorrise, un sorriso lento e pericoloso. “Un patto,” disse. “Tu mi obbedirai, Livia. Nei momenti che scelgo, nei modi che scelgo. In cambio, ti darò tutto ciò che desideri – piacere, libertà, la possibilità di scoprire chi sei davvero. Ma devi fidarti di me.” Le sue dita sfiorarono il bordo del tavolo, a pochi centimetri dalla mano di lei. “Accetta, e ti porterò oltre ogni limite che hai mai conosciuto.”
Livia sentì un brivido percorrerle la schiena. Il suo passato – quella relazione che l’aveva fatta sentire prigioniera – le urlava di rifiutare, ma il fuoco nei suoi occhi, la promessa nella sua voce, la fecero tremare di eccitazione. “Io…” iniziò, la voce incerta, poi si fermò, guardandolo negli occhi. “Accetto,” sussurrò, frastornata, il cuore che batteva all’impazzata. Cosa sto facendo? pensò, ma l’emozione la travolse, un misto di paura e desiderio che la rendeva viva.
Edoardo non disse nulla, ma il suo sguardo si fece più scuro, trionfante. “Seguimi,” ordinò, e la guidò attraverso la villa, su per una scala in pietra fino alla camera da letto padronale. La stanza era ancora in fase di ristrutturazione, ma un grande specchio a parete dominava lo spazio, riflettendo la luce tenue di una lampada. Edoardo chiuse la porta dietro di loro, il clic che echeggiò come un sigillo.
“Spogliati,” disse, la voce un comando morbido ma inesorabile. Livia esitò, il respiro corto, ma obbedì, le mani che tremavano mentre slacciava il vestito, lasciandolo cadere a terra. Rimase nuda davanti allo specchio, la sua immagine riflessa accanto a quella di Edoardo, che la osservava con un’intensità che la fece sentire vulnerabile e potente allo stesso tempo. Lui si avvicinò, aprendo un armadio di noce e tirando fuori un frustino di pelle nera, sottile e flessibile, che fece scorrere tra le dita con una lentezza deliberata.
“Guardati,” ordinò, indicando lo specchio. Livia si voltò, il cuore che martellava, e vide il proprio riflesso: la pelle arrossata dall’eccitazione, gli occhi spalancati. Edoardo si posizionò dietro di lei, il frustino che sfiorava la sua coscia, un contatto freddo che le strappò un respiro. “Non muoverti,” disse, e il primo colpo arrivò, leggero, sulla curva del suo fianco, un pizzicore che le fece mordere il labbro. Poi un altro, più deciso, sul didietro, e un terzo, più forte, che le strappò un gemito soffocato. Il dolore si mescolava al piacere, un’onda che le accendeva la pelle, e Livia sentì il calore tra le sue gambe crescere, il corpo che rispondeva con un’umidità che non poteva nascondere. Edoardo continuò, alternando colpi leggeri e più intensi, ogni frustata un’affermazione del suo controllo, e Livia si perse, il riflesso nello specchio che mostrava una donna che non riconosceva più – libera, sottomessa, viva. Ogni colpo era un invito a lasciarsi andare, il dolore che si trasformava in un piacere bruciante, il suo respiro che si spezzava in gemiti mentre si abbandonava completamente. La cantina sembrava lontana, sostituita da questa stanza, da questo specchio, da Edoardo che la modellava come una delle sue sculture.
Quando smise, le sue dita scivolarono tra le sue gambe, trovandola bagnata, e Livia tremò, un gemito che le sfuggì mentre lui le sfiorava la pelle sensibile. Poi si chinò, le sue labbra che catturavano le sue in un bacio profondo, dominante, che la fece vacillare. “Sei perfetta,” sussurrò contro la sua bocca, e Livia si sentì sciogliere. La aiutò a rivestirsi, le mani che indugiavano sul suo corpo, poi si allontanò, tirando fuori un assegno dal cassetto del tavolo. “Per l’inizio dei lavori,” disse, porgendoglielo con un sorriso. “Aspetta i miei messaggi. Non tarderò.”

Livia prese l’assegno, le mani ancora tremanti, il corpo vibrante di desiderio e confusione. Mentre scendeva la scala, il suono dei suoi tacchi che echeggiava, si chiese cosa significasse quel patto, e se sarebbe stata capace di resistere – o se voleva davvero farlo.
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